F1 Il film, l’adrenalina in pole position con Brad Pitt
- Sergio Ivan Roncoroni
- 4 giorni fa
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non si accontenta di filmare la velocità: la rincorre, le sta addosso, ne assorbe il rombo e l’adrenalina. È un film che non ha paura di muovere le gomme sull’asfalto vero, dove il cinema deve adattarsi al ritmo del motore, curva dopo curva.
Diretto da Joseph Kosinski (Top Gun: Maverick), il film traccia la storia di Sonny Hayes, un ex campione (interpretato da un sempreverde Brad Pitt) determinato a ritornare in cima dopo anni e anni di assenza dai grandi palcoscenici a cui viene affiancata una talentuosa stella emergente, il giovane Joshua Pearce (Damson Idris).

Girato tra una gara e l’altra sui veri circuiti del campionato mondiale con il supporto diretto della Formula 1 e la produzione di Lewis Hamilton, F1 – Il film è una sfida tecnica e narrativa che mira a cambiare il modo in cui vediamo – e sentiamo – la velocità sullo schermo. Niente green screen ,niente artificialità: la realtà diventa un set vivente dove giocare in libertà con la macchina da presa, in una messa in scena capace di restituisce l’autenticità dell’evento sportivo e il caos calcolato dei box, ma anche allo stesso tempo di dare a quest’ultimi un manto di spettacolarizzazione in linea con l’odierno e frenetico panorama cinematografico.

In tal senso, il montaggio si pone dinnanzi allo spettatore in tutto il suo dinamismo e la sua vitalità visiva e non, senza mai scomporsi o scomporre l’attenzione del pubblico che nella durata complessiva di due ore e mezza è costantemente stimolato da ciò a cui sta assistendo, eccezion fatta per più di qualche scivolone incontrato durante la seconda parte della pellicola.
Ed è proprio quando il film si abbandona all’asfalto che dà il meglio di sé. Le sequenze di corsa non sono semplici parentesi adrenaliniche: sono il cuore pulsante della pellicola, in cui il rombo dei motori si fonde con l’immagine e il suono in una coreografia serrata e travolgente. La regia riesce a trasmettere il peso delle accelerazioni, il rischio millimetrico di ogni sorpasso, la tensione dei freni che sfiorano il punto di rottura.

In alcune scene, l’effetto è così trascinante da annullare il confine tra spettatore e corsa: ci si ritrova coinvolti al punto da battere il ritmo con il piede, a seguire le curve con il busto, e – come nel caso del sottoscritto – a ballare la Macarena nella propria poltrona, completamente catturato dal crescendo visivo e sonoro orchestrato con estrema consapevolezza. È qui che F1 – Il film raggiunge il suo apice, quando smette di raccontare la Formula 1 e comincia a farla vivere.
Al cuore del film un classico: lo scontro tra vecchio e nuovo. I fili del pilota veterano e quelli del giovane compagno-rivale rappresentano due mondi che faticano a dialogare, ma che nel confronto appaiono resi molto bene in tutte le loro sfumature psicologiche.
Diramato tra il desiderio pragmatico di riscatto dell’uno e la candida arroganza dell’altro, il rapporto tra i due piloti muove però i suoi primi passi con fatica, complice una scrittura non ottimale ma anzi esageratamente tendente al cucire un archetipo auto-rassicurante (un punto su cui torneremo sicuramente) ma poco efficace nella resa dei conti del grande schermo. Il risultato, affiancato dalla papabile e lucida presa di consapevolezza del regista in corso d’opera, si pone così in modo ambivalente nel regalare allo spettatore un terreno narrativo soddisfacente nella sua interezza, ma solamente nella seconda parte della pellicola.
Che il connubio tra musica e crossmedialità sia imprescindibile per la salute di tutti gli elementi in gioco presenti in una frase, o in questo caso in un prodotto cinematografico, è fattore ben noto a tutti, Kosinski compreso, in questa nuova avventura sia consapevole dei propri mezzi (e parlando di Apple, che mezzi) sia curioso di osare stilisticamente.

Come se ci fossero dubbi a riguardo, le musiche di Hans Zimmer – e non- colpiscono lo spettatore in tutta la loro potenza, tessendo con le scene dentro il circuito un legame solido e sicuro di sè, ma forse anche eccessivo in termini di quantità. Per quasi due terzi del film infatti, a regnare l’ecosistema della pellicola oltre l’adrenalina, sembra esserci anche il timore di lasciare spazio al silenzio o al non detto (difficile evitare il confronto con “Le Mans ’66” , cugino di genere maggiormente amante del silenzio).
Le scene più efficaci di F1 – Il film sono quelle in cui la macchina da presa indugia sui dettagli, dove la corsa lascia spazio agli sguardi e alla paura di fallire. Ma sono rare, quasi come se anche il regista- e con lui lo sceneggiatore Ehren Kruger, divenuto famoso con The Ring e la saga di Transformer-non fosse più in grado, nonostante gli anni di esperienza nel settore, di tenere a bada il timore di non essere capiti dalla propria audience.
Parlando del marchio di fabbrica della piccola mela (essendo la dicitura “grande” già stata registrata dalla città di New York, con quest’ultima protagonista giorni fa della premiere globale di F1 – Il film), ovvero il campo fotografico, esso rappresenta una delle poche costanti della pellicola, grazie all’ impronta elegante e spavalda con cui Apple si mostra capace, ancora una volta, di dipingere un raffinato campo di battaglia dove permettere alla scrittura generale di poter giocare le proprie carte al meglio.
L’assist è di quelli di pregevole qualità, in cui però all’interno dell’ azione il passaggio decisivo sembra non confluire mai veramente in un’occasione di rete bensì in un non indifferente passaggio all’indietro.

E se qualcuno non avesse capito il motivo di inserire nel qui presente luogo un riferimento di matrice calcistica, così il medesimo senso di confusione rischia di essere più volte presente nel momento in cui il ventaglio di proposte offerte da parte della pellicola finisce inspiegabilmente per aumentare all’improvviso i suoi giri del motore, aggiungendo di conseguenza almeno un paio di ramificazioni narrative (per non dire di personaggi, trovandoci già sulla scia della severità) più evitabili che solide.
Se da un lato, seppur più per completezza narrativa che coerenza, si può chiudere un occhio su quella che nel suddetto luogo può essere denominata “quota rossa” (termine inventato di sana pianta, da non confondere con la cugina rosa ma da intendersi invece in correlazione con l’innata spinta narrativa assunta dai cineasti nell’affiancare ai loro personaggi una diramazione in chiave romantica, piatta o efficace che sia),dall’altro fronte appare quasi inspiegabile il desiderio di inserire negli ultimi quaranta minuti di pellicola un antagonista scritto senza alcuna convinzione.
Il risultato complessivo appare però più come un’opera dalla duplice faccia che come un vero e proprio peccato cinematografico. Questo perché l’impalcatura del soggetto iniziale si presenta in forma decisamente intrigante, pur senza avanzare pretese di originalità. F1 – Il film si muove infatti su un terreno noto: la parabola del riscatto. Nulla di nuovo – e il film lo sa molto bene. Ma riesce comunque a mantenere alta l’attenzione, grazie a un ritmo incalzante e a una regia che tiene il volante con mano sicura.
All’interno di questa spirale narrativa, Brad Pitt si muove con audacia e compostezza, in perfetta continuità con il suo personaggio. Sonny è una fenice risorta dalle sue ceneri: non rinasce per tornare eroe, ma per tornare uomo. Dopo anni di assenza, è la maturità – e non la gloria – a spingerlo di nuovo in pista. E se in passato era caduto da campione, ora sceglie di rialzarsi da essere umano, consapevole che la vera vittoria non è più sul traguardo, ma all’interno della traiettoria.

Una consapevolezza che manca invece a Joshua, giovane talento con il fiato corto tipico del suo tempo: vittima della FOMO, del giudizio altrui, piegato nel suo modus operandi di porre la spettacolarizzazione di sé prima ancora della prestazione. Il suo personaggio in tal senso, si muove sotto il peso di aspettative che non sa se ha scelto o subito. In questo rincorrere un’identità nel riflesso degli altri, emerge più di un’ombra di Whiplash: su tutti il talento come moneta instabile, che o si incassa subito o si teme di aver perso per sempre.
Nel complesso, F1 – Il film è un’esperienza cinematografica avvolgente, appassionante, costruita con tecnica e ambizione.
Ma è anche un film che non riesce mai veramente a scrollarsi di dosso il timore di rallentare e prendersi il tempo per scavare dentro sé stessa e indagare a fondo su ciò che intende raccontare. Forse avrebbe avuto bisogno di un sorpasso alla Dino Risi, una fuga improvvisa verso il fuori pista, una disobbedienza di tono. Invece rimane in traiettoria, fedele al circuito: spettacolare, ma trattenuto. Un Rally, più che un demolition derby.

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